Marmolada, parete sud: ph Francesco Cerpelloni 03 luglio 2022
La foto della parete sud della Marmolada è stata scattata dal fotografo di montagna e paesaggio Francesco Cerpelloni la mattina del 3 luglio 2022, di lì a poco, sul versante opposto, sarebbe accaduta la tragedia.
Lassù sulla Marmolada, il 3 luglio del 2022, è stato necessario recuperare e ricomporre i corpi, quindi identificare le salme, aprire il cuore al dolore immenso, allo strazio della perdita irrimediabile dei propri cari. La rabbia, la paura, l’emozione, e quindi i tentativi di riflessione non dovrebbero mai far scordare il grande insegnamento della montagna: l’umiltà e il valore di ogni vita che sale in quota.
Leggi tutto: La tragedia della Marmolada e il valore di ogni vita che sale in quota (o va al lavoro)
Venerdì 9 settembre, in una gremita Casa della gioventù a Puos, il Comune di Alpago ha presentato in anteprima il volume Montagna madre - Trilogia del Novecento dello scrittore Antonio G. Bortoluzzi, edito da Biblioteca dell'Immagine. L’antologia raccoglie, in una versione riveduta e corretta, i primi tre romanzi dell’autore: Cronache dalla valle (2010), Vita e morte della montagna (2013), Paesi alti (2015), corredati di un’ampia introduzione e dei racconti inediti. Nel corso della serata sono intervenuti gli editori Paola Tantulli e Massimiliano Santarossa:
"Bortoluzzi è il cantore della montagna, d’un mondo antico ma ancora vivo nei paesi alti, tra le genti e nella memoria di ieri che si fa voce del domani".
Leggi tutto: Montagna madre - foto anteprima Alpago e prossimi appuntamenti
Nel centenario della nascita di Mario Rigoni Stern, che si celebra il primo novembre di quest’anno, tante sono le iniziative, le commemorazioni, i ricordi. L'affetto. Da lettore, la cui prima lingua è stata la parlata veneta, da persona che ha chiacchierato con i reduci della Prima e della Seconda guerra, che vive e ha sempre vissuto in montagna e che questo luogo prova a raccontare, desidero sottolineare tre aspetti, che chiamerei rivoluzioni, nell’opera e soprattutto nella figura di Mario Rigoni Stern.
Perché credo non dobbiamo essere solo adulatori o imitatori del grande scrittore dell’Altipiano dei Sette Comuni, ma provare a essere interpreti del suo esempio.
Leggi tutto: La vita maestra: tre rivoluzioni in Mario Rigoni Stern a 100 anni dalla nascita
Sembra che in montagna la battaglia finale, anche a causa del Covid-19, dei confinamenti, delle restrizioni, delle difficoltà economiche si combatta tra i sostenitori degli impianti sciistici e i difensori di “un’altra montagna”: credo che questo dibattito imposti le riflessioni e le scelte politiche dei prossimi decenni.
L’industria della neve, chiamata anche monocoltura dello sci e che esiste grossomodo da un secolo, è facile da capire: investimenti, impianti di risalita, piste, gioco sportivo. Si intuiscono subito gli interessi, sono circoscritti a un periodo breve e intenso, legati a una stagionalità precisa. Per “l’altra montagna”, l’area d’indagine è più vasta e si va dallo sci da fondo alle ciaspole, dallo sci d’alpinismo allo slittino. Questo per quanto riguarda la stagione invernale, mentre in primavera, estate, autunno c’è un fiorire di attività sui sentieri, nei borghi, nel laghi, lungo i torrenti, sui pascoli, nei boschi e poi su vette, ghiaioni, cenge: podismo, arrampicata, escursionismo, trekking. E il vasto mondo della bicicletta in tutte le sue forme che è in grande espansione, oppure il semplice e primordiale camminare: per quando riguarda la nostra specie è un’attività che si pratica da centomila anni.
Da pochi mesi è stato rimosso il Magic Bus in Alaska, dove 28 anni fa il giovane Christopher Johnson McCandless ha sigillato con la morte il suo sogno di libertà.
Into the Wild, oltre a essere il titolo di un libro e di un film, è diventato in questi anni un simbolo, un riferimento, qualcosa di importante per molti. Quel ragazzo, nato nel 1968, era un mio coetaneo e oggi sarebbe un uomo di 52 anni, magari professore o eterno nomade del mondo, chissà. Io oggi non lo posso pensare che come figlio. E penso al tipo di libertà che ci ha mostrato, anche quassù in montagna.
Era il settembre del 1992 quando il corpo del ventiquattrenne Chris McCandless veniva ritrovato nei pressi del vecchio autobus, che gli fungeva da riparo, nella terra selvaggia del parco nazionale di Denali in Alaska. Lo scorso giugno il bus è stato sollevato da un grande elicottero e portato via su decisione delle autorità perché considerato pericoloso per l’incolumità di persone, fan, escursionisti che volevano “vedere” il luogo che aveva reso iconica la vita di un ragazzo, il suo sogno, la sua ricerca interiore.
Di chi è la montagna è una grande domanda, e di sicuro prevede molti tentativi di risposta.
Nei giorni scorsi mi sono fermato in un luogo che avevo sotto gli occhi da decenni e che mi ha fatto riflettere. Passo ormai da 54 anni lungo la vecchia strada della Valturcana, una piccola e quasi disabitata valle che è stata abbandonata negli anni successivi all’alluvione del 1966, è nella conca dell’Alpago, in provincia di Belluno; la strada sale tutta curve tra borghi e vecchie stalle dall’abitato di Cornei a quello di Tambre, tra i 500 e i 900 metri sul livello del mare. In Valturcana ho la casa vecchia dove sono nato e che cerco di tenere in piedi, due pezzetti di prato ripido da falciare, un boschetto piantato da mio padre dove i frassini svettano diritti verso il cielo.
Ho posato il badile e scrivo ciò che ho visto nel piccolo pezzo di mondo in cui vivo,
a pochi giorni dall’incendio, dall’alluvione e dal vento potentissimo che ha spezzato distese d’alberi e reso il paesaggio quasi irriconoscibile in molte valli della provincia di Belluno. Lavoro nel reparto di manutenzione di una fabbrica a Longarone e la prima cosa strana che abbiamo avvertito, mercoledì 24 ottobre, è stata l’aria calda a mezzogiorno, quando siamo usciti dallo stabilimento per la pausa pranzo: un vento persistente che ha portato il termometro a 26 gradi centigradi. Non c’è stato il tempo di fare previsioni fosche perché un’immensa nuvola di fumo, scesa dalla stretta valle di Agordo, ha chiuso l’orizzonte e arrossato il cielo sopra Belluno: un cavo dell’alta tensione, caduto per il forte vento, aveva innescato un incendio sulle pendici arse delle Pale di San Lucano.
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Lavoro da tanti anni e in fabbrica c’ho passato gran parte della vita:
da ragazzo ho conosciuto vecchi lavoratori, persone che avevano vissuto il mondo contadino sul serio, non come ideale bucolico, e avevano iniziato nei capannoni molto prima che lo Statuto dei lavoratori fosse legge; e quindi ragazze e ragazzi che sono diventati donne e uomini e ora sono a loro volta genitori, e qualcuno è già nonno o nonna. In fabbrica ho visto e vedo disagio e nobiltà. Per esempio quando un lutto colpisce un dipendente, viene aperta la donazione di un’ora di lavoro per chiunque desideri manifestare la propria solidarietà alla famiglia del collega: è una cosa importante, “di classe”, come gesto nobile, e “di classe” perché fatta da chi condivide le stesse condizioni sociali, di vita, d’ambiente, di fatica. Non si creda, c’è sempre la tensione tra lavoro e capitale, lavoro e delocalizzazione, produzione e salute dei lavoratori; tra il vecchio sfruttamento della forza lavoro e insieme la possibilità, mai esistita prima nelle nostre valli pedemontane, di guadagnarsi da vivere con un lavoro vero, sicuro, tutelato, sopportabile.
Tempo fa ho ricevuto in dono una vecchia lettera che riposava da molti decenni in un cassetto. Era stata inviata nel 1947, da Venezia alla Valturcana (Alpago), a mio bisnonno Osvaldo Bortoluzzi (1876-1966), nel momento in cui era rimasto vedovo. La lettera, oltre all’aspetto emotivo e personale che mi coinvolge ogni volta che la leggo, mostra anche degli elementi inusuali.
Caro amico Osvaldo,
ti so nel dolore per l’improvvisa scomparsa della tua cara e buona compagna.
Io prendo viva parte al tuo dolore e sento che il pianto mi chiude la gola per l’inaspettata e triste nuova.
A te e a tutti i tuoi cari, se pur valevole, giunga la mia povera parola di conforto, di rassegnazione e di condoglianza.
Noi due, vecchi amici, colpiti entrambi nel più sacro degli affetti, piangiamo e piangiamo assieme la scomparsa delle nostre fedeli e care spose.
L’amico tuo Luigi Borgo, 8 novembre 1947
"I premi sono una bella cosa e io sono stato molto fortunato in questi anni: i tre libri pubblicati con Edizioni Biblioteca dell’Immagine hanno sempre avuto l’attenzione di giurie importanti. Per “Cronache dalla valle”, ancora inedito, c’è stata quella grande cosa dell’essere finalista e segnalato al Premio Italo Calvino a Torino; per “Vita e morte della montagna” il Premio Dolomiti Awards - Miglior libro di montagna al Belluno Film Festival 2016; per “Paesi alti” (finalista al Leggimontagna del C.A.I. 2015 e al Premio Cortina d’Ampezzo 2016) una vittoria entusiasmante: il Premio Gambrinus-Giuseppe Mazzotti 2017 nella sezione Montagna cultura e civiltà. È un onore immenso.
Però io credo che i libri non si fanno da soli e in ogni caso da soli si vince poco. E non è modestia, è proprio cercare di ricordare con sincerità un percorso e un momento esaltante.
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Pensavo che fare un laboratorio supplementare di scrittura sul racconto breve in un liceo, fosse come chiedere a dei muratori, di ritorno la sera dal cantiere, perché non fate un po’ di movimento che vi fa bene alla linea? E quindi trovarmi di fronte a studentesse e studenti con espressioni del tipo: ma sta scherzando? Il tizio vuol parlare di libri e farci anche scrivere un racconto con cui partecipare a un concorso letterario tra diversi licei per il Premio Comisso? Qualcuno gli dica che siamo a maggio e praticamente sfiniti!
E invece nell’aula del liceo Marconi a Conegliano (TV) ho trovato curiosità e attenzione fino all’ultimo, minuto dell’ultimo giorno, dell’ultima storia utile. E ho imparato un po’ di cose dai quei 24 studenti.
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I bellunesi chiamano a volte bonariamente gli abitanti dell’Alpago “Pagot”, termine che sottolineerebbe una presunta “arretratezza”. Invece sono una spanna sopra tutti, e vi spiego il perché. L’Alpago è uno dei territori più belli della Provincia ma, soprattutto, è uno dei territori meglio tenuti e curati se non addirittura il meglio tenuto in assoluto. Prati, pascoli e boschi, ma anche paesi, il lago, sono curati e puliti come purtroppo non accade più in molte zone della Provincia. E molto merito va ai privati. E’ una delle zone dove si mangia meglio in assoluto, con numerosi ristoranti e agriturismo di qualità e con ben due ristoranti stellati di fama internazionale; l’eccellenza alimentare è testimoniata, oltre che da salumi e formaggi deliziosi, da prodotti come l’agnello dell’Alpago (presidio slowfood), i fagioli “mame d’Alpago”, i frutti di bosco e la trota.
Cinquanta anni fa, il 4 novembre del 1966, avveniva la grande alluvione che colpì anche l'Alpago. In Vita e morte della montagna ho cercato di raccontarla con gli occhi del protagonista bambino Giacomo Casàl. Non esisteva ancora l'espressione bomba d'acqua a colorire i notiziari con una specie di narrazione guerresca e sensazionalistica. C'era solo la paura e la forza di persone legate alla loro terra tanto fertile quanto fragile. Pioveva da 36 ore e le prime nevi in montagna scioglievano aggravando la situazione. Tuttavia nessuno ha mai pensato alla fine del mondo, o a una rivolta del pianeta Terra contro l'uomo: il 4 novembre si sono abbandonate le case e i beni e si è cercato un luogo sicuro per alcuni giorni. Poi si è ritornati per ricominciare.
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Essere stato con “Paesi alti” nella terzina finalista al Premio della montagna Cortina d’Ampezzo 2016 mi ha fatto molto piacere, anche perché mette insieme un po’ di fatti della mia storia familiare e dice qualcosa sull’origine delle storie che scrivo.
Per tutto il mondo Cortina è un luogo di ricchezza, celebrità, film, sport, vetrine, moda, vip, ma per me che ho sempre vissuto in Alpago (a 80 chilometri di distanza), Cortina è soprattutto un luogo che mi fa pensare a gente che ci va per lavorare.
Dalla metà del ‘900 i miei nonni (materno e paterno) hanno fatto i muratori nella Perla delle Dolomiti, così come mio padre con cui ho vissuto nelle baracche del cantiere edile negli anni ‘70. Mio fratello ha fatto il falegname e io stesso ho fatto l’imbianchino negli anni ’80.
Io scrivo del posto dove sono nato e vivo, l’Alpago. Però non uso i nomi veri dei paesi o dei borghi e preferisco nominare i corsi d’acqua, come il torrente Tesa e il torrente Valturcana; o le montagne che chiudono la Conca verso il Cadore e il Friuli. Per questo nella trilogia della montagna (Cronache dalla valle, Vita e morte della montagna, Paesi alti) l’Alpago è nominato una sola volta; per un certo pudore a trasformare persone reali in personaggi, paesi veri in luoghi narrativi. Ma c’è un altro fatto, ed è enorme come il Monte Teverone: i paesi durano più delle singole persone, è vero, ma i monti e i corsi d’acqua durano più dei paesi.
Poi ci sono le storie che scrivo dove cerco di cucire insieme quel che passa in fretta e quel che resta più a lungo.
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"Paesi alti" è uscito nell'aprile 2015 con Edizioni Biblioteca dell'Immagine di Pordenone, la Casa editrice con cui ho pubblicato in questi cinque anni. Lì ci sono persone attente ai piccoli luoghi della montagna che possono raccontare qualcosa al mondo; loro sono Paola Tantulli, Giovanni Santarossa e Massimiliano Santarossa che ringrazio perché fanno da trent'anni libri che durano nel tempo.
In compagnia di Tonìn, sua madre e la gente delle Rive ho trascorso mesi intensi, fecondi d'idee, amicizie e opportunità.
E dopo 45 incontri non mi resta che dire GRAZIE a ogni associazione, libreria, festival e sopratutto a ogni persona con cui ho parlato e che mi ha accolto. Quello che segue lo considero un patrimonio vero, fatto di uomini, donne e luoghi; un'energia rinnovabile, gratuita e preziosa per chi ama scrivere o incontrasi intorno a un libro:
Marghera, Venezia 28.10.15. “I territori dell’acqua e il cibo della conoscenza”.
Sono stato ospite con "Paesi alti", "Vita e morte della montagna" e "Cronache dalla valle" del convegno organizzato dal Museo diffuso dell’ingegneria (mu.ri) e invitato a parlare sul tema "Modernità e montagna, la geografia della memoria nelle piccole comunità". Qui alcune brevissime considerazioni su paesaggio e montagna cui seguirà, a cura del Museo diffuso, la pubblicazione degli atti.
IL PAESAGGIO
- Nei miei libri ci sono pochi nomi di paesi. Ci sono torrenti e montagne perché i corsi d’acqua durano più a lungo dei borghi e dei paesi e i paesi durano più delle singole persone.
- Accanto al paesaggio naturale, alle costruzioni umane, alle tradizioni popolari, alla lingua, a eventi piccoli e grandi che l’hanno segnato, un territorio è anche la rappresentazione che ne viene data. È qualcosa che si fa dopo, quando per esempio ripensiamo a certe persone che abbiamo conosciuto, a una certa estate, a quell’inverno, alla trincea sulla Tofana nei ricordi di un vecchio zio, a certi lavori nel bosco del Cansiglio o lungo il Piave.
Venerdì 30 ottobre abbiamo festeggiato la trentesima presentazione di PAESI ALTI a Calvene (VI), ai piedi dell’Altopiano di Asiago ospiti della rassegna “Senza orario senza bandiera”. Siamo stati al Trento Film Festival, al Circolo dei lettori di Torino, al Carta Carbone di Treviso, al convegno a Expo Venezia, a Serravalle Letteratura, a Venetonarra... e tantissimi altri bei bei posti in compagnia di persone che amano la loro terra e vogliono fare qualcosa, con i libri, per essa.
Si è discusso in questi giorni se le presentazioni dei libri servano e a chi: all'ego dell'autore? alle casse della casa editrice? al libraio? Si ipotizza che siano perfino nocive al Grande Libro Puro.
Io penso alle persone che mi hanno invitato in questi mesi, come a Calvene, Vicenza, dove le ragazze del comitato per la Biblioteca hanno ridipinto le pareti, catalogato i libri e aperto un luogo perché le persone si incontrassero. Certo, i libri. Ma anche le persone.
E da un piccolo paese, com’è giusto che sia per chi scrive delle periferie montane, un GRAZIE a tutti per l’attenzione, i tanti inviti, l’entusiasmo.
Il viaggio di Paesi alti continua!