Sono sessanta gli anni che ci separano dal 9 ottobre 1963, la notte del disastro della diga del Vajont. Erano le 22.39 quando milioni di metri cubi di roccia e terra precipitarono in pochi istanti nell’acqua, e l’onda immensa si alzò nel cielo e annientò in pochi minuti migliaia di vite, paesi interi, storie e tradizioni secolari.
Il saldatore del Vajont (Marsilio), sullo sfondo la frana del Monte Toc
Alcuni estratti degli articoli e delle recensioni comparse sui giornali e nel web:
“Uno scrittore che conosce la montagna, e la sua gente, in maniera assoluta”. Marco D'Incà, Il Gazzettino 14.09.23.
"A cavallo tra narrazione, reportage e saggistica, Antonio G. Bortoluzzi ha trovato un modo originale e inesplorato di raccontaci ancora questa storia." Annalisa Bruni, éNordEst, 10.09.23, LINK I ricordi del saldatore del Vajont - éNordEst (enordest.it)
"Antonio G. Bortoluzzi (scrittore che da sempre racconta la montagna in cui è nato, come hanno fatto Sgorlon, Buzzati e Rigoni Stern) dedica un romanzo intero a un’ apocalisse ambientale difficile da dimenticare." Nicola Vacca, Gli amanti dei libri, 14.09.23, LINK Il saldatore del Vajont – Antonio G. Bortoluzzi - Gli Amanti dei Libri
“La diga è stata una presenza assenza, un ricordo tenuto a distanza, mentre nei suoi libri raccontava la vita della montagna e la realtà della fabbrica”. Nicolò Menniti-Ippolito (Mattino di Padova, Nuova di Venezia e Mestre, Tribuna di Treviso, Corriere delle Alpi) 14.09.23.
“Bortoluzzi racconta, attraverso gli occhi e il cuore di un saldatore, il paesaggio attuale che ha ancora i segni di quanto accadde” Francesca Visentin, Corriere del Veneto 14.09.23
"Questa antologia racconta di chi siamo figli e figlie, di quale Novecento. E quale
montagna è nostra madre."
Dall'introduzione di Antonio G. Bortoluzzi
"In questa antologia credo ci sia un paesaggio che oltre a prati, torrenti, alberi, case, stalle, strade, animali, montagne, cielo, nuvole e altri elementi fisici è costituito di tempo trascorso. Questo tempo trattiene delle esistenze, delle persone che ho conosciuto, concui ho vissuto e che non posso scordare: donne, uomini, ragazzi, bambine, vecchi che erano e sono una civiltà montana che ha portato fino a noi le sementi dello stare insieme a cantare, a dire, a raccontare. Come lo siamo stati in una caverna, attorno a un fuoco, in una stalla, in un cortìvo. E così il solitarismo alla moda che non ci porta nessuna libertà degna di questo nome; la rimozione dell’anima femminile della montagna; quella cesura tra mondo contadino millenario e realtà post industriale che abbiamo vissuto, sono i venti gelidi che ci hanno impaurito e reso fragili.
Due operai in cerca di riscatto, una rapina per realizzare il loro sogno, sotto lo sguardo vigile
delle Dolomiti. Un romanzo leggero e profondo, acuto e tenero.
«Bortoluzzi racconta con sofferente pietà e straordinario vigore espressivo» Margherita Oggero
In queste pagine folgoranti e avvincenti Antonio G. Bortoluzzi racconta le Dolomiti che cingono le valli del bellunese e sembrano sorvegliare le aree produttive nate dopo la tragedia del Vajont. Un romanzo di montagna, di industria, di avventura e, in fondo, d’amore.
Leggi tutto: Come si fanno le cose - Antonio G. Bortoluzzi - Marsilio
“Come si fanno le cose” (Marsilio Editori) è recensito su quotidiani, riviste, web: un romanzo è soprattutto negli occhi e nel cuore di chi legge.
“Dolce e scabro, questo libro è percorso da un filo costante di serietà e di poesia: la poesia dell’umana pietà verso noi uomini che trascorriamo la vita così in fretta nella nostra piccola porzione di mondo, cercando l’effimero, mentre il nostro cuore ha quiete e forza solo se non rinneghiamo il passato.” Famiglia Cristiana: Antonia Arslan, 12.09.19
"In Come si fanno le cose Bortoluzzi affronta il disagio e le disarmonie del nostro tempo. Molte grandi questioni sociali si affacciano in queste pagine - dalle morti sul lavoro, alla concorrenza del mercato cinese - ma, grazie anche a una strategia narrativa felicissima, l'autore riesce a parlarci della sfida di sempre: il coraggio di essere felici, tra solitudini, fatiche e delusioni." La Domenica del Sole 24 Ore: Teresa Franco, 28.07.19.
“In un oscillare continuo tra memoria e presente, Bortoluzzi conferisce profondità storica e psicologica a questo suo testo dando voce allo sradicamento vissuto negli anni Settanta da contadini e figli di contadini del Nord est.” L’Indice dei libri, Claudio Panella, 03.12.19
"Bortoluzzi recupera anche i temi delle radici della sua precedente trilogia di montagna, e segnatamente il mondo scomparso dell'altopiano, e dei suoi valori umani, lavorativi ed etici, in contrasto con la disumanizzazione della fabbrica." La Lettura del Corriere della Sera: Ermanno Paccagnini, 04.08.19
Leggi tutto: Come si fanno le cose - letto da critici e giornalisti
Come si fanno le cose (Marsilio Editori) arriva in tanti luoghi belli e sempre con persone attente a questa piccola storia di fabbrica e montagna, fatica e sogno di riscatto. Qui alcuni momenti indimenticabili!
Leggi tutto: Come si fanno le cose: gli incontri, le persone, i luoghi
La Giuria ha deciso all’unanimità di assegnare il Premio GAMBRINUS - “GIUSEPPE MAZZOTTI”, nella sezione MONTAGNA CULTURA E CIVILTA', a “PAESI ALTI” di Antonio G. Bortoluzzi (Ed. Biblioteca dell’Immagine).
La motivazione: "Racconto disegnato con rapide immagini che, scorrendo in successione, rendono il senso della vita nei paesi di montagna negli anni difficili seguiti all’ultima guerra. È uno sguardo sulla crescita di Tonìn, che da ragazzo dai sentimenti fragili e insicuri, e che sogna altri destini, si prepara a diventare uomo consapevole, e forte. Bortoluzzi ci regala quadri di vivace immediatezza usando magistralmente parole semplici, chiare, dirette, che si fanno poesia per trasmettere suggestioni, per donare vere emozioni. Il lettore viene trascinato nei Paesi alti, e sente addosso a sé le stesse fatiche, le privazioni e i sogni del protagonista e dei suoi compagni di disincanto. Romanzo che lascia segni profondi, che dà luce ad un mondo poco conosciuto e dunque trascurato, che guida a guardare la montagna con occhi e con animo diversi".
Leggi tutto: Paesi alti - Premio Gambrinus Giuseppe Mazzotti
"Il mio nuovo romanzo dal titolo "Come si fanno le cose" sarà in libreria a maggio nella collana "Romanzi e racconti" diretta da Chiara Valerio per la splendida Marsilio Editori."
A quattro anni dall'uscita di "Paesi alti", dopo 120 incontri Antonio G. Bortoluzzi, Premio Gambrinus Giuseppe Manzotti "Montagna cultura e civiltà", scrive una nuova storia di montagna, di industria, di avventura, e in fondo, d'amore.
Al centro ci sono due operai cinquantenni che sognano una vita più giusta: per questo sono disposti a tutto, perfino a rubare. La copertina è stata disegnata da Arianna Vairo (che collabora con l'Espresso e il New York Times) e il romanzo sarà stampato e presentato in antepriama a Tribùk a febbraio 2019.
Il mio nuovo romanzo dal titolo Come si fanno le cose sarà in libreria a maggio nella collana "Romanzi e racconti" diretta da Chiara Valerio per la splendida Marsilio Editori.
A quattro anni dall'uscita di "Paesi alti", dopo 120 incontri con persone e realtà stupende e vere, il grande onore di ricevere il Premio Gambrinus Giuseppe Manzotti "Montagna cultura e civiltà", non vedo l'ora di presentare questa nuova storia di montagna, di industria, di avventura, e in fondo, d'amore a cui ho lavorato tanti anni.
Al centro ci sono due operai cinquantenni che sognano una vita più giusta: per questo sono disposti a tutto, perfino a rubare. La copertina è stata disegnata da Arianna Vairo (che collabora con l'Espresso e il New York Times) e il romanzo sarà presentato in antepriama a Tribùk a febbraio 2019.
Andiamo verso le 80 presentazioni in poco più di due anni dall’uscita di “Paesi alti”.
Dico andiamo perché ci sono delle persone che mi invitano, che fanno il passa parola, mettono energie e tempo per un libro, una serata intorno a un tema o semplicemente per “far qualcosa” per i concittadini, i paesani, gli amici.
Questo incontrarsi di persone mi fa venire in mente la faccenda della solitudine e della montagna.
Se ne parla, se ne scrive e sembrano tutti d’accordo. Magari si ragiona meno sullo spopolamento, sui boschi che assediano gli abitati, o sui piccoli negozi di paese che chiudono. Invece la condizione dell’Uomo solo al cospetto della Natura (e di se stesso) che attraverso la solitudine raggiunge la risposta, il senso, la dimensione, sembra un tema centrale.
Due anni, 70 presentazioni, tanti luoghi e persone per raccontare Paesi alti. E in due anni la vita, fuori dai libri, scorre con ritmi propri; a volte rallenta e altre fugge via come l’acqua scura dei torrenti in piena. E quindi ci sono dei grazie che non si possono più dire a certe persone, perché i testimoni di questo romanzo sono nati in quello che si può considerare ormai un altro mondo: gli anni ’30 del ‘900. E queste persone si stanno congedando da noi. Grazie dal profondo del cuore a chi mi ha regalato la propria memoria di ragazzino: la vita nei prati e con gli animali, il lavoro e la penuria di quegli anni difficili. In particolare ci sono dei quadri dentro Paesi alti, doni dell’oralità, che io ho solo raccolto:
la storia di Fonsìn e del rastrellamento;
Nessuno era riuscito a cacciarli via. Non la povertà dell’Ottocento, né il massacro delle due guerre mondiali. Non la miseria del dopoguerra, né l’emigrazione. Non erano state la fame, le malattie, le alluvioni e nemmeno i terremoti.
Se n’erano andati dalla loro montagna perché l’avevano voluto, uno alla volta, lungo la strada asfaltata. In fondo alla valle c’era qualcosa alla portata di tutti.
Il lavoro. Il benessere. E pareva meglio di quanto avessero mai avuto.
Vita e morte della montagna è la storia di un abbandono, è la storia di intere generazioni sradicate dalla montagna, per un sogno alla fine disatteso. È una storia di fughe e ritorni alla propria terra, mai narrata prima.
“Bortoluzzi racconta con sofferente pietà e straordinario vigore espressivo la fine dolorosa di un’epoca di cui non tutto è da rimpiangere, ma di cui qualcosa avrebbe dovuto essere salvato. Un romanzo forte, intenso e direi necessario”.
Margherita Oggero, Torino, giugno 2013.
E se uno mai si chiedesse: quanto tempo si sta a leggere tutto intero e senza pause “Paesi alti”?
Ora la risposta c’è: 6 ore e 9 minuti.
E ce la dà una lettrice d’eccezione, la professoressa Annunciata Olivieri, che per il Centro Internazionale del Libro Parlato (CILP) ha registrato capitolo dopo capitolo la storia di Tonìn, di sua madre e degli abitanti del borgo montano delle Rive. La sua voce magistrale narra l'anima inquieta di Tonìn, la durezza della madre, le parole nude in dialetto bellunese dell'Alpago.
In Cronache dalla valle c’è la storia di Ciano che è solo un ragazzo ma quando cavalca Spagna, la sua cavalla, si sente un uomo e di suo nonno che ha deciso di farla ammazzare perché è troppo vecchia. E quella del partigiano Cencio, detto Fulmine, cui tocca giustiziare una spia e nessuno sa che il prigioniero è suo paesano. E della signora Amelia, che ha preparato tutto fin nei minimi particolari prima di salire sulla sedia e recitare il Padre Nostro. C’è la storia di Iaco Dei Siori che corre tra le viti slacciandosi le braghe, e di Maria, sua figlia che è andata a servire a Venezia e ogni mattina quando si sveglia sente la puzza del mare che è mille volte più forte dell’odore delle vacche e delle pecore e anche dei maiali. E quella di Lisa che osserva il vecchio Silvio steso dentro la bara, sbarbato e in ordine come non lo è mai stato, e tutti dicono che era un brav’uomo e solo lei sa cosa le ha fatto quando era solo una bambina e badava alle galline.
Questi sono solo alcuni dei personaggi delle sedici storie che raccontano un’isolata valle montana negli anni Quaranta e Cinquanta del Novecento con la sua gente, le bestie, la terra, il lavoro e tutta la vita bastarda e bella.
Sedici racconti: brevi come carezze, brucianti come schiaffi, forti come risate.
XXI Edizione: “La giuria decide inoltre di segnalare l’opera di Antonio G. Bortoluzzi per la precisone stilistica e la spregiudicatezza di sguardo su una claustrofobica realtà isolata dal mondo contemporaneo”. Torino, maggio 2008
È pur vero che i libri, una volta pubblicati e se hanno fortuna, godono di vita propria e vanno nel mondo e giungono ai lettori con la semplicità e la forza delle piccole parole scritte in fila l’una di seguito all’altra.
Però queste 60 presentazioni, in 18 mesi, sono anche il frutto di collaborazioni e progetti messi in atto da librerie, enti, associazioni, amministrazioni, festival, scuole, scrittori e giornalisti che mi hanno invitato a raccontare “Paesi alti” convinti che una storia degli anni ’50, ambientata nella periferia montana, possa dire ancora qualcosa oggi, nella contemporaneità.