Il ragazzino non aveva mai avuto un cane. Aveva un maiale, sette galline, undici conigli e due vacche.
– Il cane è il miglior amico dell’uomo – disse una mattina alla madre.
Lei si girò dal lavello di pietra e lui continuò. – Hai visto Rin-Tin-Tin e Lassie, no? Loro salvano i bambini.
La madre riprese a strofinare la pentola. – Guardi troppa televisione. E meno male che non vuoi un cavallo. C’è anche Furia, no?
Solo il suo vicino di casa, Nino Bue, aveva un cane nero che teneva alla catena. Certo, non era come i cani della tivù, aveva il pelo impolverato e puzzava come una carogna. Al ragazzino però piaceva lo stesso, sembrava un lupo della prateria, ma nero.
L’incidente successe a Natale, quando ammazzarono il maiale e il ragazzino prese di nascosto le sbèteghe e le portò al suo amico cane. Era bello vederlo saltare e afferrare con gli incisivi i pezzi di carne scarta che lui gli porgeva.
– Cosa fai? – urlò sua madre.
Lui si voltò nel momento in cui il cane balzava a mordere la sbètega. E la sua gola.
La donna urlò e corse e pulì la ferita con il fazzoletto. Erano solo due graffi profondi, non gravi. – Sei un ebete! – disse la madre.
Arrivarono anche gli uomini che facevano i salami con Nino Bue.
– Adesso l’ammazzo! – gridò il padrone del cane trascinandolo fuori dalla cuccia e prendendolo a calci con gli scarponi.
– È solo colpa mia. È solo colpa mia – urlava il ragazzino.
Avrebbe scambiato la vita di quel cane con la vita di tutta quella gente pazza. E con quella di sua madre.
Racconto pubblicato nell'antologia Racconti Minimi Bellunesi, Insolita Storia Pop Bar & Ezio Franceschini 2016